C’è un’inversione di tendenza che si respira da qualche tempo nel settore del marketing e della pubblicità tradizionale, come riporta il numero di giugno della rivista Harvard Business Review Italia. Se fino al 2021 e per oltre un decennio, abbiamo assistito ad un impennata delle tecnologie di marketing digitale, che hanno dominato la crescita dei budget pubblicitari, limitando notevolmente l’espansione dei tradizionali mezzi di comunicazione, adesso, si regista un cambiamento di rotta. Secondo i dati di The CMO Survey, i marketer hanno previsto infatti che la spesa pubblicitaria tradizionale sarebbe aumentata in agosto 2021 dell’1,4% e a febbraio 2022 del 2,9%. Le aziende rivolte al consumatore stanno guidando il cambiamento, con le aziende di servizi B2C che prevedono il maggiore aumento della spesa pubblicitaria tradizionale (+10,2%), seguite dalle aziende di prodotti B2C (+4,9%).
Quindi se fino a qualche anno fa i retailer avevano spostato gli investimenti da televisione, radio, giornali, eventi e pubblicità esterna ai canali digitali, come TikTok, Facebook e Instagram, prevedendo che la loro spesa pubblicitaria tradizionale sarebbe diminuita, oggi, è in aumento. A questo punto viene spontaneo domandarsi: perché? E soprattutto, questa crescita continuerà? I motivi del processo sono da attribuirsi a diversi fattori, come ad esempio al fatto che i consumatori passando molto tempo online, sembra che stiano diventando sempre più insensibili alla pubblicità digitale convenzionale. Segnalano frustrazione e associazione negativa al marchio a causa del disordine generato dalla pubblicità digitale, che impedisce loro di leggere un articolo, guardare un video o navigare in un sito web. Per esempio, un sondaggio di HubSpot (sviluppatore americano di prodotti software per il marketing) ha scoperto che il 57% dei partecipanti non ha gradito gli annunci che vengono riprodotti prima di un video e il 43% non li ha nemmeno guardati. Davanti a queste problematiche, i marketer stanno cercando un’alternativa per eliminare il “rumore di fondo”.
C’è anche un ritorno alla stampa e al cartaceo, che iniziano a superare i canali digitali in termini di portata, attenzione e coinvolgimento del lettore. Questo cambiamento è amplificato dal fatto che i costi della pubblicità online sono aumentati, mentre i costi sui media tradizionali sono diminuiti. Inoltre, si evidenzia una maggiore fidelizzazione del lettore nei confronti della pubblicità tradizionale: l’indagine di MarketingSherpa ha scoperto infatti che i primi cinque formati pubblicitari più fidati sono tutti tradizionali. I clienti si fidano di più della pubblicità sulla stampa (82%), della pubblicità televisiva (80%), della pubblicità per posta diretta (76%) e della pubblicità radiofonica (71%) per decidere se acquistare o meno. Allo stesso modo, ha scoperto che i consumatori britannici e americani si fidano della pubblicità tradizionale come la televisione, la radio e la stampa più della pubblicità sui social media. Un vantaggio per i commercianti, che possono ritornare ad utilizzare la pubblicità “stampata” con gli acquirenti annoiati, per rafforzare la credibilità del loro marchio.
Anche i podcast sono catalogati come media digitali, tuttavia a differenza di qualsiasi altro strumento online, hanno un approccio on-demand che è più simile alla radio tradizionale. Ed è questo uno dei motivi per cui continuano ad avere successo. Oltre a raggiungere più di 100 milioni di ascoltatori mensili, gli annunci podcast sono efficaci perché gli ascoltatori si fidano dei conduttori, come appunto accade con la radio, e si crea così un’influenza genuina e trasparente. Un recente studio ha dimostrato come gli ascoltatori prestino più attenzione alle pubblicità dei podcast che a quelle di qualsiasi altro media digitale.
Un altro importante aspetto, da non sottovalutare, è la crossmedialitá. Oggi, per un’azienda pubblicitaria essere “multimediale” nella comunicazione è prima di tutto una necessità, oltre che un vantaggio. Ma cosa intendiamo quando parliamo di crossmedialità? Con il termine crossmedialità (o crossmedia, cross-media) ci si riferisce alla possibilità di mettere in connessione i mezzi di comunicazione l’uno con l’altro, grazie allo sviluppo e alla diffusione di piattaforme digitali. Un sistema che utilizza crossmedialità si definisce quindi “crossmediale”. Le informazioni aziendali o dei clienti vengono emesse, e completate, in virtù dell’interazione tra i media, per cui si assiste a performance comunicative nelle quali i principali mezzi di comunicazione interagiscono fra di essi, dispiegando l’informazione nei suoi diversi formati e canali. In questa tendenza, internet è il mezzo che meglio si adatta perché nel gioco di rinvii da un mezzo, o un apparecchio, all’altro, spesso è coinvolto il world wide web: per esempio è consultato in diretta nelle trasmissioni televisive; la carta stampata fornisce codici da digitare per entrare in aree riservate dei siti web; la promozione di prodotti avviene lanciando storie che rimpallano dall’offline all’online e viceversa, la locandina o l’adesivo su un prodotto possono avere un codice QR per permettere di leggere gli approfondimenti via smartphone o tablet.
Publimedia Italia si inserisce in questo scambio di connessioni tra le esigenze dei clienti e le richieste, oggi sempre più interattive e dinamiche, della comunicazione e della promozione pubblicitaria. E lo fa puntando proprio sull’essere una realtà “multimediale”, in grado di gestire più mezzi di comunicazione, tradizionali (radio, cinema, tv, carta stampata) e non (giornali online), creando tra essi un campo di sinergie per diffondere al meglio le informazioni del cliente e la sua pubblicità.
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